martedì 25 ottobre 2011

auf wiedersehen

E' arrivato il giorno. Barbara parte per Berlino. Trovo che la sua storia sia un pò paradigmatica di una generazione ed è per questo che la voglio raccontare.


La conosco da molti anni.


E' sempre stata bravissima, sia da studentessa, da laureanda e da dottoranda. Abbiamo lavorato insieme e diviso anche lo stesso ufficio. Molto indipendente, ma sopratutto molto volenterosa. Credo che una frase che è stata detta l'altro giorno la definisca meglio di tutte: "Ci mancherà non solo la sua bravura e competenza ma anche il suo modo di lavorare in un gruppo". Questo è un aspetto non considerato abbastanza nella nostra professione. Lei invece ha anche questa grande qualità. Si sa relazionare con gli altri.


Non credo che abbia mai pensato di continuare a lavorare in Italia. Ha avuto più di una offerta e ha anche potuto scegliere. Come ho avuto già modo di scrivere (http://futuroposteriore.blogspot.com/2011/06/una-non-sottile-differenza.html) la sua storia è un bicchiere mezzo pieno. Vogliamo vedere il fatto che il nostro paese le ha dato una grande formazione, oppure che una persona che potrebbe contribuire sostanzialmente alla costruzione di un futuro migliore prende la via dell'estero?


Le ho chiesto perché parte. Alcune risposte sono da incorniciare. " L'Italia ben presto sarà un paese per ricchi, dove se non guadagni tanto non sei libero (non puoi accedere all'istruzione, curarti come si deve, andare a teatro... ecc.) ... Non ci tengo a restare qui". Questo e le scarse, diciamo nulle, prospettive sono ragioni più che sufficienti.


Le auguro ogni bene.


E va via come gli altri 200.000 italiani che negli ultimi dieci anni hanno condiviso la stessa scelta. Persone che abbiamo formato con spesa consistente e del cui contributo si potranno servire altre nazioni.


E vanno via non certo perché da noi non si fa una buona ricerca. Con la 29-esima spesa, siamo ottavi nel mondo e la produttività pro capite dei nostri ricercatori è la terza al mondo. Siamo neanche la metà dei ricercatori francesi.


Oggi è passato a salutarmi un ragazzo che è stato diversi mesi in america. Mi ha fatto un immenso piacere che sia venuto a trovarmi appena sceso dall'aereo. L'ho trovato galvanizzato, dinamite pura. Ricordo come stava alcuni mesi prima di partire: abbattuto. Non vede l'ora di andare via di nuovo. Lì si sente vivo, importante.


Non sarà la patrimoniale, ne' le pensioni a 67 anni, non è il condono quello che ci salverà.


Ciò che ci manca è il futuro e la fiducia nei giovani che ne sono gli artefici.


giovedì 20 ottobre 2011

Imprigionato

Roma si sa che non è attrezzata per le catastrofi ambientali. Ben tre ore di pioggia in effetti rappresentano una sfida inarrivabile. Lo sapevo, quando sono entrato in macchina qualche minuto prima delle otto  di stamani sapevo che poteva essere una giornata difficile, quello che non mi aspettavo è che sarebbe stata a tratti drammatica.

La Roma Fiumicino era moderatamente allagata, singola corsia, tutti a 30 all'ora. Sembravamo i piloti dietro la safety car. Mi sono stupito del civismo, ma forse anche questa situazione è uno specchio del paese. Se serve la gente sa essere responsabile.

Arrivo sul raccordo alle 8:21, piove forte, visibilità pessima, pochi metri appena. L'acqua cade copiosa, le ruote avanzano con fatica nei rivoletti che le altre autovetture aprono davanti a me. E' dura. Arrivo in un'ora al tunnel dell'Appia. L'acqua esce a fontanella dai bordi dei lastroni di cemento armato che fanno da contenimento ai terrapieni. Il tergicristallo è sempre al massimo.

Da questo punto in poi impiego due ore per fare due chilometri. C'è un perché. Il raccordo è allagato. Una macchina della polizia è intraversata con scritto "strada chiusa". Ma consente di passare sulla corsia di sorpasso. Una macchina per volta, avanza lentamente e poi sparisce tra i flutti in una nuvola di fumo, per poi ricomparire dopo il guado. Si aspetta che la traversata sia finita per passare. Io non sarei voluto andare, ma non si può scegliere. Dietro la pressione di chilometri di automobilisti incavolati, la polizia che è trasparente, non chiude la strada, non aiuta l'incolonnamento. Si esce solo di lì.

Radio Rock trasmette l'intervista su un libro che ricostruisce il delitto di Via Poma. Spengo. Comincia la traversata. Arriva l'acqua, la macchina sbuffa, tengo alti giri in prima sparata. Vedo il fango alzarsi impetuoso, sale sul cofano della mia auto ad ondate. Che succede se si spegne qui? Come esco? dove vado? Che faccio?

Invece l'acqua cala, l'auto esce dalla pozza e io mi rassereno. Alla fine avrò impiegato quattro ore stressanti.

Oggi il sindaco dice che la colpa è del servizio metereologico che non ha previsto la pioggia. Eh sì perché averlo saputo ieri sera avrebbe aiutato le squadre del comune, che si sa sono sempre pronte, come tanti insetti, a sciamare per le strade e liberare tombini, tagliare i rami secchi, mettere a punto le idrovore.

Non bastava l'acqua, verso sera piovono anche le stronzate.

lunedì 17 ottobre 2011

sackgasse

Una volta durante una passeggiata sulle Alpi austriache, ho trovato un cartello sul sentiero. Da una parte c'era una località che non ricordo, dall'altro c'era scritto Sackgasse. Poiché mi pareva che l'altra direzione fosse sbagliata, sebbene sulla mappa non c'era nessuna località così chiamata, sono andato là. L'ignoranza delle lingue è una brutta cosa. Sackgasse in austriaco vuol dire quello che i francesi chiamano cul de sac. Strada cieca, senza uscita. Bisogna tornare indietro.

Mi pare che ci siamo finiti dentro. E che non abbiamo molte possibilità di uscirne fuori. Il problema nasce dall'idea che si possa produrre ricchezza non dal lavoro ma dal denaro. Poiché questo non si crea e non si distrugge, se si accumula da qualche parte si depaupera da un'altra. Così il mondo della finanza al riparo dei loro mega bonus, gioca a Monopoli, e a volte anche a Risiko, con il mondo. Crea una realtà virtuale fatta di prodotti derivati che sono staccati dalla realtà delle cose. Una borsa valori che perde il 30% del valore dalla metà luglio a settembre è completamente avulsa dai valori reali, oppure qualcuno pensa che quelle aziende durante l'estate si siano veramente svalutate così tanto? Si sono liquefatte? Vendevano gelati ed è andata via la corrente?

La quantità di soldi che riescono a muovere è tale da mettere in difficoltà gli stati. La politica in tutto questo che ruolo gioca? Praticamente nulla. Tutto si trasferisce ad un livello più alto. E poiché per fare politica serve denaro e per farsi eleggere occorre costosa visibilità ecco che nessuna classe politica, a tutte le latitudini, si può considerare immune dalle interferenze della finanza.

Altrimenti perché dopo il crac di Lehman Brothers non si è intervenuti a livello sovranazionale sulle leve che hanno scardinato il sistema? Perchè non si sono normati i CDS (credit default swap) che stanno spingendo la speculazione sui debiti sovrani? Perché si è rifinanziato pesantemente il sistema bancario senza chiedere il conto a chi aveva prodotto i guasti, anzi permettendo loro di dividersi i soliti bonus miliardari? E' facile fare affari così, se guadagno tengo per me, se perdo chiedo l'aiuto del pubblico, ovvero di tutti noi. Perché altrimenti, essendo l'architrave del sistema, se crollo mi porto giù tutti. E' paradossale che uso il soldo pubblico per risanare i miei dissesti e poi azzanno quello stato per essersi indebitato.

Chi paga sono sempre i soliti noti: noi. Saremo anche il 99% come gridano gli indignati, ma contiamo zero. Come se ne esce?

Sackgasse...

sabato 8 ottobre 2011

La morte del corsaro

L'America è il paese senza storia e forse per questo adora tanto le storie. Quelle di personaggi che tracciano una linea, rompono gli schemi, creano una leggenda. Specialmente se non sono i soliti buoni, ma fanno di tibie e teschi i loro emblemi.
Al Davis è stato per più di 50 anni il più personaggio dei personaggi del Football Americano. Il più criticato, crocifisso, odiato, ma anche il più intransigente. E' stato tutto, da allenatore (il più giovane di sempre, e 'coach of the year') a presidente della lega, fino a proprietario di una squadra. E sicuramente non ha mai avuto De Coubertin tra i suoi miti. Vincere è l'unica cosa che conta diceva. E lui ha vinto. Ma più che per le sue vittorie sarà ricordato per avere fatto di una squadra il suo alter ego. Prima di lui i Raiders erano una delle compagini più anonime e perdenti che abbiano mai calpestato i prati. Lui gli ha dato un'anima, la sua. Uno spirito: nero, cattivo, cinico. Sono sempre stati dei picchiatori, intimidatori fino al limite delle regole.

La sua mentalità di gioco non contemplava la pazienza. Lui non amava tanti piccoli guadagni. Voleva i giochi ad effetto. Correre e lanciare lungo, molto lungo. Giochi difficili eppure bellissimi.

Ma i tempi cambiano e dopo gli scoppiettii iniziali l'ultimo titolo risale al lontano gennaio 1984, incorniciato dalla magnifica ed epica corsa di Marcus Allen. Poi trent'anni di poco per tornare alla finale (persa) solo nel 2003.

E' stato sicuramente un rompiscatole, un incubo dei suoi allenatori. Avere un presidente che non solo capisce del gioco essendo stato un allenatore di successo a sua volta, ma che addirittura ritiene che la sua squadra debba essere un riflesso della sua anima, dei suoi istinti e pensieri non è certo il massimo che possa capitare ad un coach.

I Raiders sono stati la prima squadra che ho visto vincere un Superbowl, in quel gennaio del 1981. Lo devo dire: non ho mai avuto una grandissima passione per lui e per la sua squadra. Mi ha sempre disturbato il suo esasperato protagonismo. Non ho mai amato quello che nel calcio si chiamerebbe palla lunga e pedalare. Eppure non posso non dire che la sua morte mi ha molto intristito. Perchè in fin dei conti lo sport in america è anche e sopratutto un grande spettacolo, un grande circo. E lui ne è stato un grandissimo protagonista. Mi mancherà.






giovedì 6 ottobre 2011

Bilancio di un mese straordinario

Alla fine sì, sono un privilegiato. E' stato un caso, un affollamento di impegni imprevisto, che mi ha portato in quattro paesi in un mese. In fin dei conti l'anno scorso non ero andato a nessuna conferenza.



Prima conferenza, la civettuola San Sebastian, Spagna, Paesi Baschi. Regione strana, lingua incomprensibile, soggiorno piacevole ma non la sceglierei mai per le mie vacanze. Grandi alberghi che costeggiano una lunghissima lingua di sabbia resa ora esile ora vasta dal gioco delle maree. Ma sopratutto tanta, troppa gente.


Per la seconda è stata la volta della dinamica Londra. Bella, organizzata, efficiente, aristocratica. Con dei trasporti favolosi, ma molto cara. Ha un fascino particolare con i suoi monumenti viventi, castelli che sono ancora di una casa regnante, Westminster Abbey dove si sposano i principi e vengono incoronati Re e Regine. L'Università dove c'era la conferenza era anch'essa suggestiva, ispirata al famoso castello francese di Chambord. Ma santo cielo quanto è schizzata la gente, nella City sembrano schegge impazzite, bollicine di gas in una bevanda frizzante appena aperta la lattina.


Quindi una delle più belle esperienze, andare a fare lezione ad una scuola del Cern, nella cornice di una isola dell'Egeo, Chios.


E' sempre emozionante partecipare come docente a questa scuola, quando 13 anni fa sedevo tra i banchi come studente, conoscere altri docenti e anche gli studenti che sono un melting pot di paesi e culture differenti. Chios sembra l'Italia descritta da Guareschi in Don Camillo. Molto provinciale, diciamo un pò arretrata? Chiusa intorno alla sua città principale, regala spazi immensi dove si possono percorrere chilometri senza incontrare anima ne' macchina. Famosa per il mastica, una resina estratta dagli alberi da cui ricavano liquori e caramelle. Sa un pò di idrocarburo e non incontra il favore dei non greci.

Infine un workshop nella sempre umida Amburgo. Qui sono di casa, conosco tutti, eppure imparo sempre qualcosa.

Ho incontrato nuove persone e rivisto quelle già note. Ho imparato molto e mi sono fermato a pensare su quelle che sapevo, o pensavo di sapere. Bisogna avere paura di quello che sappiamo non di ciò che non sappiamo diceva qualcuno. Ma sopratutto, oltre alla dimensione professionale che è stata ovviamente importante, ho aperto una finestra su diversi paesi, sulla gente che vive lì, come si veste, cosa mangia, cosa pensa e spera.

E sono esperienze che aiutano a sprovincializzarsi. Oggi i giovani hanno molte possibilità di viaggiare e anche di lavorare all'estero. Sono occasioni da non perdere. Il confronto con altre culture, altri stili, altre organizzazioni del lavoro e della società ci permettono di apprezzare meglio quello che abbiamo qui e di capire cosa va corretto. Fossimo uno stato stanzierei risorse per permettere a chiunque di potere fare una esperienza lavorativa o di studio oltre le alpi. sono certo che questo migliorerebbe molto le persone e la società

Sono un privilegiato. Alla fine il mio lavoro mi permette di essere un cittadino del mondo, di stare in contatto con persone che popolano i quattro angoli del pianeta.

E' vero non mi pagano molto per farlo, ma ci cose che non si monetizzano e danno tanto: le soddisfazioni. 

mercoledì 5 ottobre 2011

La donna che non molla mai

Ho avuto la fortuna di conoscere e lavorare per uno dei mostri sacri del mondo degli acceleratori di particelle: Helen T. Edwards. L'ho rincontrata l'altro giorno ad Amburgo insieme a suo marito Don Edwards, anche lui fisico. Lei classe 1936, lui credo 1931, ma non sono sicurissimo. Erano diversi anni che non li vedevo e sono stato felice di incontrarli. Li ho trovati anche piuttosto bene.

Lei è tornata alle ribalta della cronaca anche in questi giorni, essendo stata la persona che ha spento il Tevatron, la più grande macchina per protoni del mondo prima dell'arrivo di LHC. La macchina con cui per esempio si è scoperto il quark top. E hanno chiamato lei a spegnere perché Helen era stato a capo del progetto che lo aveva costruito. E' sicuramente una delle personalità più  importanti della fisica americana nel campo, avendo ricevuto una marea di premi e riconoscimenti.

Mi diceva Don, che a sua volta è un apprezzatissimo e stimato fisico nonché autore di un famoso libro, che quando accesero Tevatron non c'era tutto questo clamore. Adesso che invece si chiude arrivano le luci della ribalta. E' come se non si festeggiasse una nascita ma una morte!

Perché mi ha colpito l'altro giorno? Beh perché alla sua età, dopo avere spento Tevatron, è saltata su un aereo intercontinentale ed è venuta a partecipare a questo workshop, che era sopratutto fatto da gente che lavora. Diciamo che c'erano molte persone brave e pochi chiacchieroni. Insomma stava lì a presentare un lavoro come fosse un qualunque ricercatore (io infatti, un qualunque ricercatore, presentavo qualcosa). Ho trovato questa cosa meravigliosa. Perché dietro il suo grande successo c'è un grande amore per il suo lavoro, che si identifica largamente con la sua vita. A 75 anni con il suo curriculum non sta a potare le siepi o dietro una scrivania. Sta ancora in prima linea.

Helen non ha un carattere facile. E' una persona molto esigente, ed un capo severo. Devo dire che io mi sono sempre trovato bene con lei. Ma so di molta gente che ha avuto esperienze non così positive.

Eppure non posso non pensare guardando Helen che sia un grande esempio per tutti e per le donne in particolare. E' infatti sempre citata quando si parla di donne che hanno fatto la fisica del 900.

Per me è l'esempio di una donna che non ha mai mollato, e continua ancora così.




martedì 4 ottobre 2011

il bambino straccione

L'impressione che si ha in questo paese è che guarda avanti. Conosco questo laboratorio da 14 anni, è divenuto un pò la mia seconda casa. C'è chi fa la spola con il Cern a Ginevra e chi come me si è trovato invece ad andare spesso a Desy ad Amburgo. Eppure mai come nell'ultimo periodo ho visto questo luogo pulsare e animarsi.

E' un cantiere a cielo aperto nel quale stanno costruendo nuovi edifici, nuovi acceleratori, nuovi impianti. Hanno anche ristrutturato ciò che esisteva. Questa è una foto dell'ingresso dell'edificio principale. Una cosa holliwodiana. Sto scrivendo da dentro la mia stanza nella guesthouse, 28 euro a notte. Anche queste rinnovate, non hanno nulla da invidiare ad un ottimo albergo a tre stelle. Ma più in generale c'è prospettiva.
Sono stato oggi ad un workshop nel quale si parlava dei prossimi anni, e i programmi sono così pieni che non c'entra tutto. A cena un ragazzo che lavora qua mi ha spiegato che il suo gruppo è già finanziato, con una cifra impressionante, fino al 2020.
E la gente continua ad arrivare (molta dall'Italia), proseguono a reclutare persone di qualità.
Se vado al bagno trovo perfino il fasciatoio per i neonati. Nella mia università nel bagno non c'è finestra ne' aeratore e in quello del mio corridoio nemmeno il sapone, non perché sia finito ma perché manca proprio il dispensatore. Niente soldi per la manutenzione, ciò che si rompe non verrà sostituito.

Mi era già capitato a settembre di vivere una situazione particolare. Ho sostituito ad una riunione ristretta tenuta parallelamente ad una conferenza il mio capo progetto. Giusto per fare vedere cosa stiamo facendo. Ero seduto ad un tavolo con il Gotha di quel settore di studi, gente che ha per i loro esperimenti bilanci simili a quanto spende un ente di ricerca italiano per tutti gli esperimenti. Gruppi che contano decine e decine di persone. E noi, che ci contiamo sulle dita di una mano, eravamo là solo per una idea, che abbiamo tradotto in pratica con grande sforzo, sacrificio e un pizzico di fortuna. Siamo come una barca a remi in un mare di corazzate. E la cosa più sorprendente che questi si fermano a vedere come remiamo!

Così oggi sono venuto a ribadire la ragione della nostra presenza qui, dove lavoriamo da molti anni e siamo molto apprezzati. Ed ancora una volta ci sono stati riscontri molto positivi.
E' bello parlare dove ti vogliono bene, dove ti stimano e dove considerano il tuo lavoro. Ma in realtà non so se veramente potremo fare ciò per cui ci siamo impegnati. Sebbene adesso viaggiamo con un rimborso spese minimale e sovente ci rimettiamo soldi di tasca nostra, non riusciamo nemmeno ad avere delle risorse per venire a fare un esperimento. Per il 2012 abbiamo alzato pochissimo, negli anni futuri chissà.

Così ancora una volta torno a casa, come un bambino povero che ha fatto un giro sulla giostra e si è divertito un mondo. Ma siccome aveva una sola moneta può solo guardare gli altri continuare a giocare. Aspettando che qualcuno deponga nella sua mano un altro soldino, dato non per la sua bravura, non per le sue capacità, ma solo per elemosina. Eppure quel bambino barbone è uno di quelli che forma una classe dirigente, uno di quelli che insegna agli altri, non solo una nozione ma anche a guardare avanti.

Nonostante tutto infatti questo straccione ha ancora accesa una luce negli occhi, che sognano sempre un altro giro sulla giostra.