lunedì 27 febbraio 2012

Oh Capitano! Mio capitano!

Abbiamo un deficit di rappresentanza? O forse no, forse i capitani che abbiamo sono una giusta espressione del nostro essere?
Gigi Buffon ha candidamente ammesso che, anche se avesse avuto la certezza che la palla fosse entrata, non avrebbe mai avvertito l'arbitro. Campione di Fair Play, così sponsorizzato dalla FIFA!

Ma non siamo ipocriti! Buffon ha detto quello che tutti farebbero. Quante persone trovando un portafoglio o un cellulare lo restituiscono? Quanta gente in questo paese, nel momento in cui ottiene un favore inaspettato è pronta ad alzare la mano e dire: non è giusto?

Il suo torto è che lui non è tutti. E' il capitano della nazionale, è un esempio per i giovani in primis. Ho sempre pensato che non fossero i discorsi che riescono a plasmare i caratteri delle persone, ma gli esempi. La credibilità di una persona si basa sulla sua condotta. E solo il cielo sa quanto in questo paese abbiamo bisogno di esempi positivi.

Perché è vero che il nostro è un paese di opportunisti, di egoisti, basato sul familismo amorale. Ma è anche un paese a cui piace l'esempio positivo, la storia pulita, la persona fatta da se'. Siamo sensibili a ciò perché rompe la nostra quotidiana lotta per la sopravvivenza, lo sgomitare in macchina, il guardarsi in cagnesco alla posta se qualcuno si avvicina al banco, il tenere d'occhio il vicino arrivato dopo dal fornaio. E' un mondo di fatto di diffidenza e di ostilità.

Buffon non ha capito una cosa fondamentale, come la maggior parte degli italiani. E cioè che ci troviamo tutti sulla stessa barca e solo uniti andiamo da qualche parte. Nel suo caso la barca è la credibilità del carrozzone calcio, stroncata dagli scandali, dalle scommesse, dagli errori arbitrali quasi mai casuali. Non capisce che non è una partita vinta in più o in meno che cambia qualcosa. E' come uno Schettino, a cui interessa solo la propria scialuppa.

Finchè ci sarà accondiscendenza verso tali comportamenti non ci potremo mai stupire se un capitano abbandona la nave, mette il proprio interesse particolare davanti a quello degli altri. Tutti quelli che giustificano Buffon, anche se non se ne rendono conto, giustificano pure Schettino.

mercoledì 22 febbraio 2012

il possibile e l'impossibile

Diceva Goethe che solo chi pensa possibile l'impossibile è in grado di scoprire qualcosa. Dunque lo scienziato anche in presenza di risultati "forti" deve mantenere i nervi saldi e pensare che forse anche le cose più stravaganti possono essere possibili.

Il primo fisico che osservò i raggi X ha un nome che nessuno ricorda. Dimenticò delle lastre fotografiche vicino un tubo a raggi catodici. Le trovò impressionate. Non pensò possibile fosse il tubo e così tutti oggi ringraziano (giustamente) Roetgen per la scoperta dei raggi X.

Serendipità. Parola magica che vuol dire non solo avere fortuna ma saperla riconoscere. L'esperimento Opera del Gran Sasso non è stato costruito per misurare la velocità dei neutrini. Ma si è trovato a farlo.

Si tratta di una misura estremamente difficile. Ne avevo già parlato http://futuroposteriore.blogspot.com/2011/09/sopra-un-raggio-di-luce.html

Oggi esce la notizia che pare che ci sia stato un errore sperimentale. Una fibra ottica non bene cablata. Non ho capito bene la cosa e forse solo nei prossimi giorni avrò i dettagli.

Rimane quanto avevo già osservato a settembre. Qua si tratta di misure indirette. Si prende un numero e poi si sottraggono diciannove (19!) contributi che tengono conto degli errori sistematici, movimento della terra, propagazione del segnale radio nella ionosfera, etc etc. Non c'è una verifica di controllo. Come si fa a dire se i contributi sono 20 o 21 e non ci si è dimenticato di qualche cosa?

Solo un esperimento ripetuto in una altra parte del mondo potrebbe dire una parola in qualche modo più conclusiva.
Ad onor del vero devo dire che i colleghi che hanno fatto l'esperimento e scritto l'articolo sono stati i primi a chiedere una verifica terza e a sottolineare come il carattere particolare della misura doveva far considerare il risultato non come una certezza ma un qualcosa in divenire. Ciononostante non posso non pensare che ci sia in questo un tarlo della nostra società scientifica.

Le smentite fanno parte della storia della scienza. Molti hanno scambiato le lucciole per lanterne. Quello che però accade oggi è molto connesso al modo in cui è finanziata la ricerca. Si cerca a tutti i costi di avere un risultato sensazionale. Se ne parla molto e poi finisce nel dimenticatoio. Intanto però ha acceso un faro, è servito magari a raccogliere finanziamenti, e quando poi arrivano le smentite i soldi sono già spesi.

Su questo forse ci dovremmo interrogare. La scienza non è come la politica, non vive di annunci! Non deve cercare il consenso a tutti i costi perché una società evoluta che non si renda conto dell'importanza del sapere è destinata solo a regredire, economicamente e socialmente. E questa tendenza si combatte con la credibilità e la serietà dei risultati.


lunedì 20 febbraio 2012

la fine è il mio inizio

Gira un'altra pagina nell'album della mia vita. Finito l'esperimento ad Amburgo.

Per varie ragioni negli ultimi 15 anni c'era sempre stato qualcosa qui, adesso ho restituito la chiave dell'ufficio. Certo abbiamo già sul tavolo la proposta per il triennio 2013-2015, però è futuro, di là da venire, da essere finanziato, approvato.

Come 15 anni fa mi feci una foto andando via sul cartello del laboratorio, anche questa volta ne ho una. Con la speranza di tornare presto. Stamani il cielo è grigio, ogni tanto fiocca. Sono passato tante volte per questa strada e oggi mi pare diversa. L'abitudine ci fa perdere il gusto e il senso delle cose. Il sapere di poterle perdere ce le fa apprezzare di più. E' il solito cogli l'attimo che rimane invece sempre fuggente.

Con l'esperimento è morta anche la linea di bypass. E' una linea della macchina che non verrà più utilizzata e che a breve sarà smontata. E' sempre stata un po' una terra di nessuno, d'altronde era un binario morto e serviva solo per proteggere una parte dell'acceleratore durante alcuni periodi particolari. Qui non la hanno mai apprezzata. Nessuno ci voleva lavorare, nessuno voleva studiarla per usarla.

Invece a me è sempre stata simpatica. Per noi era una manna. Non c'era concorrenza, è stata per anni il nostro feudo quasi privato. D'accordo, sotto il soffitto non è che si lavori proprio bene, ma santo cielo se vuoi un fascio di elettroni di queste caratteristiche qualche cosa devi pure concedere.

Ora è out, nessuna particella vi passerà più. Ben presto sarà cannibalizzata per fare altre linee. Si tratta di un espianto. Forse avremo anche noi un nuovo esperimento su una di queste. Ma non sarà più la stessa cosa. Può essere che non saremo gli stessi, forse qualcuno tra  un paio di anni non vorrà venire più con noi.

C'è però il bilancio di questa esperienza che mi rende lieto. Sperando di non avere brutte sorprese nell'analisi dei dati posso dire che abbiamo capito moltissimo, abbiamo vissuto momenti stupendi, siamo stati testimoni di qualche cosa che difficilmente potrà essere ripetuto a breve. Questa non è una fine, ma solo un nuovo inizio.





sabato 11 febbraio 2012

15 anni


Domani mattina parto per Amburgo. Sono passati 15 anni dalla prima volta che sono andato ai laboratori di DESY ( Deutsches Elektronen-Synchrotron ), era il febbraio del 1997. Cosa è cambiato e cosa invece è rimasto uguale?
Allora Amburgo mi apparve subito per quello che è. Una città a nord della Germania, dove a Febbraio il tempo è inclemente e la temperatura rigida. Grigia come il cielo che la sovrasta. In quella circostanza non ebbi molto tempo per vedere la città. D’altronde fare il turista non mi interessava punto. E poi la città anseatica è veramente godibile solo con il bel tempo. I suoi canali, le passeggiate lungo il lago, il giardino di Planten und Blumen, la vita serale nelle strade di Altona e quella notturna di Repperbahn si godono appieno solo quando non piove, meglio ancora con il sole. Fare il metereologo ad Amburgo è una professione tranquilla. Dite che pioverà e quasi al 70% ci avrete azzeccato, in qualunque stagione dell’anno.
Anche la prima sera che giunsi là pioveva. E’ vivo nella mia mente il cartello che annunciava DESY che vidi entrando. Quel cartello è stato cambiato qualche anno fa con un altro più luminoso, ma ne conservo una foto, da cui noto che ho la stessa giacca di allora, materiale resistente!
Alloggiavamo insieme in un appartamento da 4 posti letto dentro il laboratorio, si chiamano Guest-House. Ce ne sono in molti laboratori del mondo e consentono ai ricercatori di stare in un ambiente caldo e pulito, sebbene spartano, spendendo poco. C’erano due bagni e anche una cucina. Le Guest-house le hanno ristrutturate e sono tutte camere singole con bagno adesso, mentre la cucina rimane in comune.
La vecchia sala controllo mi pare oggi uno sgabuzzino, piena di fili, di strumentazione, con computer dai monitor enormi. Oggi esiste invece una struttura avveniristica, enorme, con poltrone comodissime e schermi ultrapiatti. Alla fine facemmo un bel lavoro. Eravamo soddisfatti. Prima di partire scattai un pò di foto, per ricordare quel viaggio nel paese delle meraviglie che era un grande laboratorio di ricerca. Le avrei tenute come un ricordo caro se non fossi mai più tornato là. Vi tornai invece decine di volte e continuo a farlo.
Anche la compagnia è leggermente cambiata, i tecnici del gruppo non vengono più perché le nuove normative sulla retribuzione delle missioni all'estero non sono considerate soddisfacenti per abbandonare le famiglie una settimana. Michele, che è stato il relatore della mia tesi e il mio mentore è in pensione. Gli pesa sempre di più ma ancora viene quando ci sono misure importanti come queste. Ha passato la mano e adesso mi tocca fare il responsabile di questo esperimento. Credo che anche questa volta discuteremo animatamente in sala controllo su cosa fare, quali dati prendere etc, attirando l'attenzione dei nostri colleghi tedeschi. Non dico che siamo attesi su quel palcoscenico ma poco ci manca. Siamo fatti così, è un sodalizio che si è sempre rivelato produttivo. L'unica differenza che noto con il passare del tempo è che una volta lui aveva ragione il 100% delle volte, anche quando a me non pareva. Ora ogni tanto capita anche a me di essere nel giusto.
15 anni sono un lungo periodo, la mia vita è profondamente cambiata, eppure ogni volta che entro lì dentro mi pare che il tempo si arresti. Per una settimana si è fuori da tutto, una specie di ritiro spirituale. Il mondo è assente, finanche distante. E tutto il mio universo si avvolge intorno a quell'esperimento, pianificato, simulato, studiato, e che si deve dipanare in così poco tempo. 
L'ardore giovanile ha lasciato il posto ad una più matura consapevolezza, un pò come un dottore che si iscrive a medicina perché pensa di potere curare il mondo e poi scopre invece che seguire un solo paziente è già un miracolo. Ma quello che non è cambiato è l'amore per quello che faccio e la dedizione con cui lo porto avanti. 15 anni sono un attimo se ti stai divertendo.

lunedì 6 febbraio 2012

L'appuntamento fisso

Nel gennaio del 1981 avevo poco più che dieci anni. Una sera trasmisero su Canale 5 il Superbowl, la finale del campionato di Football americano. Fu amore a prima vista. Quello sport così distante dai nostri standard, così colorato e insolito mi colpì profondamente.

Sono passati 31 anni e la gioia, l'attesa con cui vivo ed aspetto questo evento è sempre la stessa. Anzi forse è finanche cresciuta.

Non sempre fu possibile seguirlo in diretta, ma questo per un pò è stato un vantaggio. Nell'era pre-internet del football non importava nulla a nessuno e la differita del giorno dopo era a tutti gli effetti una diretta. Per molti anni l'ho visto fino alle 4 del mattino, adesso più comodamente il giorno dopo, dovendo però necessariamente seppellirmi vivo per evitare di sapere il risultato.

Sono passati parecchi anni ma rivedo sempre con piacere scorrere nella mia mente quei giochi che mi hanno portato ad amare questo sport, quelle storie che piacciono tanto agli americani che trasformano sempre in miti e leggende.

Certi gli anni 80 furono dominati dal mitico Joe Montana e dai suoi 49'ers. Quelle casacche rosse erano sinonimo di un bel gioco, la West Coast offense si chiamava. Il ritmo dei loro drive di attacco, le rimonte memorabili contro i Cincinnati Bengals rimangono nella mia mente.

Essendo vissuto per un periodo a Chicago so che lì tutti ricordano i tempi di Mike Dikta e dei mitici Bears.  Che fecero segnare anche Perry, detto "The refrigerator", per via della sua stazza non proprio minuta...ma so anche che non posso non pensare a quella che è stata una delle corse più incredibili, Marcus Allen dei Raiders contro i Washington Redskins. Ho ancora nelle orecchie "Marcus Allen, Marcus Allen, sulle 30... sulle 20... sulle 10.. Touchdown!!"

Come fare a non compiangere i poveri Buffalo Bills che arrivarono per 4 volte di fila alla partita della vita e la persero sempre? Credo che stiano ancora cercando il povero Scott Norwood che sbagliò il field goal decisivo e consegnò il titolo ai Giants di Bill Parcell nella prima di quelle 4 partite...

Come si fa a non avere amato Troy Aikmann mentre portava i Cowboys di Dallas a due titoli di fila? Guidati in panchina da un laccatissimo Jimmy Johnson, con Emmitt Smith come running back i Dallas si potevano permettere anche le stupidaggini di Leon Lett.

E che dire della partita del 1997 quando finalmente i mitici Green Bay, la squadra simbolo di questo sport, il nome del cui coach storico, Vince Lombardi, è divenuto il nome del trofeo, tornarono alla vittoria con il fortissimo ma estremamente volubile Brett Favre? Emozione.

E l'anno dopo arrivò il turno anche per un grandissimo sconfitto, John Elway, il prototipo del ragazzotto americano, alto, biondo, dotato di grande braccio ma anche di buone gambe. Molti grandi non hanno mai vinto, come Dan Marino, ma John ebbe la fortuna dopo 3 sconfitte di fregiarsi di due vittorie, il tempo è stato galantuomo.

Gli anni del nuovo secolo hanno visto le partite forse più combattute e non sempre ha vinto chi meritava di più. Certo i Tennesse Titans si fermarono ad una sola yard dal titolo, i poveri Arizona Cardinals persero a 10 secondi dalla fine, mentre i Patriots e gli Steelers inanellavano vittorie.

Ma forse una delle vittorie più emozionanti è stata quella dei New Orleans Saints due anni fa, perché non era solo il successo di una squadra che era sempre stata un signor nessuno ma anche di una intera nazione, la Louisiana, cara tutti per il Jazz e il Mississipi, così duramente provata dall'uragano Katrina.

Il superbowl è stato e rimane il silenzioso testimone della mia vita. E' un appuntamento fisso, come con un vecchio amico che mi racconta sempre storie nuove. Trovo che guardare questo sport e capirlo non siano la stessa cosa. C'è bisogno di un pò di attenzione, di conoscere bene le regole, gli schemi, le formazioni per apprezzarlo fino in fondo. Bisogno maturare la profonda convinzione che non c'è uno sport più di squadra di questo. Basta l'errore di un singolo e la migliore delle azioni viene vanificata.

Poichè lo gioco anche adesso, pure se a livello assolutamente amatoriale, mi rendo conto della grande bravura dei quarterback. Non solo nei loro lanci, nella potenza delle loro braccia, nel sincronismo delle loro azioni. Ma anche e sopratutto nella loro capacità di leggere le azioni. il QB è come il direttore di orchestra, sa le partiture di tutti e deve scegliere in una frazione di secondo quella che sarà vincente.

Quando mi trovo chino sul tavolo a disegnare uno schema per le mie partite, ripenso a Marco Lucchini, che commentava, molto seraficamente, quel primo superbowl. E di quanto la mia conoscenza di questo gioco sia migliorata. Ma anche a come sia riuscito a conservare in me la meraviglia che c'era in quegli occhi di bambino per questo gioco.