domenica 21 gennaio 2018

Si fa presto a dire umano

C'è una bellissima serie TV, peraltro anche non troppo lunga, sedici episodi in due stagioni, chiamata Humans.

Chi ha letto il libro di Asimov "l'uomo Bicentenario", o ha visto la trasposizione cinematografica con Robin Williams, vi potrà trovare di certo degli echi.
Ma tutti, credo tutti, potranno farsi delle domande.

Una società come la nostra, come verrebbe trasformata da un uso massiccio di androidi umanoidi? Certamente molti perderebbero il loro lavoro e queste macchine non sarebbe più popolari degli immigrati dei nostri giorni.

I bambini avrebbero confusione a distinguerli e magari qualcuno potrebbe essere affascinato dal loro modo, privo di sentimenti, di affrontare la quotidianità.

E se a tutto questo sovrapponessimo la possibilità che ci possano essere degli androidi umanoidi che non siano come una lavatrice o un ferro da stiro, ma che possano avere una coscienza?

E sopratutto, la coscienza e la cosiddetta umanità sono appannaggio di una matrice biologica o invece è possibile produrre sinteticamente una macchina che apprenda e sviluppi un io senziente?

Ed infine, cosa forse tra le più importanti, se dovessero sviluppare qualità senzienti, come farebbero a capire il confine tra il bene ed il male? E' la società e l'educazione che ci fornisce alcune semplici regole, come non uccidere, o è qualcosa di più profondo connaturato in noi?

Trovo che tutti questi temi siano stati affrontati nella serie e venga dato uno scenario condivisibile, su cosa potrebbe accadere. Ed è per questo che ne raccomando la visione.

Una cosa è molto chiara. Siamo la specie dominante su questo pianeta perchè darwinianamente siamo quella che si sa adattare meglio ai cambiamenti. Se facciamo dell'immobilismo la nostra bandiera perfino delle macchine potrebbero diventare competitive per il nostro spazio vitale. 

martedì 2 gennaio 2018

Rabin, il vero cambiamento e il buon anno

Sono stato a dicembre in Israele, a Tel Aviv, e non potevo non andare a vedere il luogo dove è stato assassinato Yitzhak Rabin. E' stato un momento toccante ricordare quei giorni ormai lontani più di 20 anni. Non nascondo che mi sono voltato mentre ero lì con dei colleghi per non mostrare gli occhi lucidi.
Amo i romanzi di Follet, ma ritengo che per vendere la storia sia sempre raccontata in modo accondiscendente verso il lettore. Nei suoi libri i protagonisti, che sono dal lato giusto, alla fine, seppure con qualche travaglio e sofferenza, la spuntano sempre. E invece la realtà è ben diversa.

Tantissimi uomini e donne sono morti pur essendo nel giusto. Mi viene in mente Mameli e i suoi compagni mentre difendevano la Repubblica Romana, sulla cui base è oggi fondata la nostra costituzione. Penso alle persone che hanno seguito Martin Luther King, e lui stesso ovviamente, nell'affrancamento dalla segregazione razziale, e poi la lista potrebbe essere lunghissima e ognuno ha la sua. Dai Kennedy ad Olof Palme, da Gandhi a Rabin.

Tutti questi uomini erano il cambiamento. La loro morte non lo ha arrestato, rallentato di certo. Il tempo è stato con loro gentiluomo ma alla fine loro sono morti. Anche nel caso di Rabin c'era chi manifestava raffigurandolo con la divisa delle SS. C'era chi si opponeva ad un cambiamento.

Ora io non credo che tutti coloro che sono stati contro un cambiamento, che poi è stato positivo, siano da condannare. Il loro contesto sociale, le informazioni che ricevevano, il peso delle loro famiglie, la mancanza di una adeguata educazione, sono tutti fattori che influenzano molto le scelte.

So però che anche Darwin sosteneva che in natura non vince il più forte, ma quello che si adatta meglio al cambiamento. E' impensabile una visione monolitica e statica della storia, della scienza e della cultura in generale, come quella sostenuta nel " Il nome della Rosa" dall'immaginario Jorge da Burgos: "nella storia della conoscenza non c'è il progresso, ma solo una mera, costane e sublime, ricapitolazione".


Mi sembra che molta gente si scambi gli auguri di buon anno sperando non che sia meglio, ma almeno non peggiore del precedente. 
Guardiamo solo indietro, come dimostra la Brexit e la presidenza Trump, patetici tentativi di fermare l'attimo. Lo so siamo tutti legati al passato in modo inconsapevole, perchè nel passato eravamo più giovani, forse più sani e magari più belli. Forse anche più felici perchè spensierati.

Mi volto a guardare il pezzo di muro rimasto in quella piazza di Tel Aviv. C'è una grande scritta in ebraico, dice "Scusa". E penso a quei populisti che gli manifestavano contro con livore e odio e il cui capo è oggi primo ministro di quello stato.

E lì capisco la differenza: il vero cambiamento non passa mai da parole di odio, ma da quelle di amore, di pace, di tolleranza. Tutti i grandi che hanno pagato con la vita hanno perseguito questa strada, e i loro avversari erano ben più di un partito politico. Chi si è incamminato sull'altra è andato in direzioni molto pericolose.